Lettura critica del programma americano di primo aiuto per prevenire stragi

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 16 maggio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO]

 

(Seconda Parte)

 

Fra gli argomenti a sostegno della scelta degli amministratori pubblici statunitensi di rivolgere il corso al maggior numero di persone possibile, vi è un’osservazione ineccepibile e di sicuro effetto: nelle scuole, nelle palestre e sui posti di lavoro si propongono istruzioni per soccorrere persone colpite da arresto cardiaco, anche se con ogni probabilità non incontreremo mai qualcuno con questo gravissimo problema acuto; al contrario, tutti noi incontriamo persone con disturbi mentali o disagio psichico, e nessuno ci informa su come comportarci. L’argomentazione è efficacemente suggestiva, anche se non considera le obiezioni e le critiche che possono accomunare gli interventi non professionali in entrambi i casi.

Fra le persone che volontariamente scelgono di partecipare al corso, vi sono molti impiegati nei servizi sociali, che sperano di acquisire in tal modo una preparazione migliore per svolgere il proprio lavoro; numerosi sono anche parenti, colleghi e amici di persone che si sono suicidate o che sono affette da disturbi psichici cronici, tossicodipendenza, alcolismo, turbe comportamentali connesse con la sfera sessuale o disturbi mentali originati da malattie neurologiche genetiche o neurodegenerative. Numerosi volontari si contano anche nelle file del clero. Il corso, proposto per la prima volta nell’aprile 2014 ai militari in servizio, ai veterani e alle loro famiglie, è già stato rivolto in decine di giurisdizioni ad agenti di polizia, sceriffi ed altri impiegati in attività di sicurezza pubblica nei campus, nelle corti di giustizia, nelle case di correzione. Attualmente, in ogni stato degli USA è possibile partecipare alle otto ore di formazione MHFA, anche scegliendo fra varie versioni. Fra queste, ad esempio, ve ne è una concepita per insegnanti ed educatori che lavorano prevalentemente o esclusivamente con bambini, ed un’altra culturalmente adattata alle comunità rurali. Circa 280.000 persone hanno già seguito il corso e molte lo seguiranno in questo periodo e nei mesi a venire[1].

 

3. Pronto soccorso mentale in cinque passi. Il nucleo centrale dell’insegnamento del corso MHFA è costituito da un metodo declinato in 5 punti, che vale la pena riportare integralmente, per poterlo commentare in dettaglio.

 

MENTAL HEALTH FIRST AID

 

     1. Valuta la persona per il rischio di suicidio o danno.

        Vi sono segni di lesioni del proprio corpo? La persona è in un distress estremo?

        È diventata aggressiva o ha perso contatto con la realtà?

        Se la persona tende al suicidio chiedi sempre aiuto professionale.

 

     2. Ascolta senza giudicare.

        Sii paziente e comprensivo; ascolta attentamente prima di offrire aiuto.

        Fai in modo che la persona si senta libera di parlare senza essere criticata.

   

     3. Dai rassicurazione e informazione.

        Empatizza ed esprimi speranza; offri aiuto pratico e informazioni rilevanti.

        Rispondi sinceramente ad ogni preoccupazione.

 

     4. Incoraggia la richiesta di aiuto professionale.

        Descrivi opzioni di trattamento per persone stressate e supporti per membri della famiglia.

 

     5. Raccomanda altre forme di assistenza.

        Suggerisci di accettare aiuto da membri della famiglia, amici o da altri che hanno avuto

        Problemi di salute mentale.

 

Apparentemente, i cinque “passi” prescritti riflettono un atteggiamento di buon senso che è alla base della formazione psicologica del medico, di ogni operatore clinico e, a maggior ragione, di ogni psicoterapeuta. Valutare in silenzio in base a nozioni, ascoltare senza esprimere giudizi, rassicurare e, se è il caso, incoraggiare una richiesta di aiuto professionale, sembra quanto di più banalmente saggio e giusto si possa fare, almeno in astratto. Vediamo in concreto questo paradigma – che molte persone seguono spontaneamente nell’assistere allo sconforto di un amico o un parente – quali insidie nasconde nei casi reali.

Commentiamo quanto indicato, punto per punto.

Punto1: Valuta la persona per il rischio di suicidio o danno. E poi: Vi sono segni di lesioni del proprio corpo?

Dunque, chi ha seguito il corso deve accertare se la persona che ha di fronte reca sul suo corpo ferite autoinferte o altri segni di tentato suicidio. Sembra semplice, ma non lo è. In realtà è difficile sia procedere all’accertamento sia, soprattutto, effettuarlo con successo, raggiungendo lo scopo prefisso. Come si fa un’ispezione del corpo per cercare segni e cicatrici? Si fa una visita medica. Ma se non si è medici, come si può chiedere ad una persona di svestirsi per farsi esaminare?

È opportuno, a questo punto, fare una precisazione fondata su una realtà della psicopatologia, ben nota agli psichiatri, ma certamente poco conosciuta da chi non ha formazione ed esperienza in questo campo. Chi medita seriamente propositi di suicidio, come molti pazienti depressi, tende a tenere per sé i propositi e a nascondere i segni dei tentativi pregressi. Coloro che, invece, si lasciano facilmente ispezionare o, addirittura, esibiscono spontaneamente cicatrici di tagli delle vene ai polsi o raccontano di altri tentativi sono in genere persone con un atteggiamento psicologico vicino a quello della personalità isterica delle descrizioni nosografiche di qualche decennio fa, o istrionica, secondo un poco appropriato termine diffuso dalle categorie del DSM. In altri termini, si tratta di persone che consentono il rilievo dei segni, se non addirittura li esibiscono, ma spesso hanno già impiegato o stanno impiegando i tentativi di suicidio per esercitare pressioni o veri e propri ricatti affettivi sul partner, su familiari o altre persone del loro ambiente di relazione. In questi casi, l’accertamento previsto dal primo passo del metodo MHFA è possibile, facile o anche preceduto da una spontanea comunicazione; ma in realtà il rilievo è anche inutile, perché le persone con un simile tratto psicologico non mettono mai in atto in maniera efficace il proposito, piuttosto inscenano tentativi per ottenere qualcosa.

Ricapitolando: l’accertamento utile è difficile, richiede capacità psicologica nel conquistarsi la fiducia della persona, competenza medica nel conoscere le sedi dei danni autoinferti e nel distinguere le lesioni con intento suicidario da effetti di pratiche simil-masochistiche, parafiliche, sataniche, ecc.; richiede il riconoscimento da parte della persona affetta da disturbi di un ruolo professionale o, almeno, di un ruolo di potenziale importanza affettiva, perché accetti di farsi esaminare. Quando l’accertamento è facile, nella massima parte dei casi è anche inutile in ottica preventiva, perché quella persona non vuole veramente suicidarsi, ma attrarre l’attenzione sui propri problemi o su di sé, in una dinamica di rapporto che va studiata con competenza.

 

[continua]

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni

BM&L-16 maggio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Cfr. Aliyah Baruchin, First Aid for Mental Health. Scientific American MIND 26 (2), 68-72, 2015.